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Il Partito Comunista – nel solco del socialismo scientifico – sostiene il diritto da parte di tutti gli esseri umani ad una soddisfazione dei bisogni allargata, in correlazione allo sviluppo progressivo delle capacità produttive della società. Va da sé che, nell’attuale fase storica, caratterizzata da un’impennata nella produttività del lavoro sociale, obiettivo primario e ineludibile di una democrazia economica dovrebbe essere quello di consentire a tutti i suoi cittadini un livello di vita ben al di sopra della pura sussistenza. E’ con quest’ottica che il Partito Comunista ha voluto analizzare a fondo l’iniziativa per un Reddito di Base Incondizionato (RBI) che si voterà il 5 giugno 2016.

E’ stata una discussione molto ampia che ha occupato due sedute del nostro Comitato, altrettante riunioni di uno specifico gruppo di lavoro interno al Partito e abbiamo ascoltato anche accademici esperti in economia e sociologia di posizioni diverse. L’indicazione finale – contraria all’iniziativa – è stata presa a maggioranza, a dimostrazione della complessità del tema e delle sfaccettature che esso dispone. Responsabilmente il Partito Comunista ritiene la proposta non sufficientemente elaborata per essere approvata e, nel contempo, non vuole creare illusioni: per ridistribuire la ricchezza e impedire le misure di austerità non si possono attendere ricette miracolose calate dall’alto, ma organizzarsi dal basso nei sindacati e nei partiti e lottare sui posti di lavoro, di studio e nella società per conquistare maggiori diritti sociali.

All’iniziativa per l’introduzione di un RBI si riconosce il tentativo di rispondere ai cambiamenti socioeconomici in atto: una tendenziale automazione della produzione, la riduzione dei posti di lavoro, il passaggio a un modello familiare più fluido e l’allungamento della speranza di vita che potrebbero compromettere le assicurazioni sociali già sotto minaccia oggi dai continui attacchi neo-liberisti. Il RBI ha anche il pregio di valorizzare quelle attività non salariate che oggi non vengono considerate dei “lavori” (casalinghe, ecc.) malgrado l’importanza che rivestono nella vita sociale.

D’altrocanto nella discussione sono emersi non pochi aspetti critici: l’iniziativa è formulata in maniera estremamente vaga, il che lascia spalancata la porta a coloro – e sono la maggioranza negli attuali rapporti di forza politici del nostro Paese – che sfrutterebbero il RBI per dare il colpo di grazia alle assicurazioni sociali.

Nel caso di una sostituibilità dell’erogazione dei servizi sociali, il rischio concreto è di ulteriormente favorire un approccio individualista nella società a scapito delle istanze di solidarietà collettiva, frutto peraltro di mezzo secolo di perseveranza del movimento operaio organizzato. L’atomizzazione della società, già oggi in atto per dividere i salariati e destrutturare i sindacati, diverrebbe di fatto irreversibile: è evidentemente una prospettiva che ci ostiniamo a voler contrastare.

Una delle proposte per finanziare il RBI proveniente dagli stessi iniziativisti (e che avrebbe chance di essere approvata dalla maggioranza del parlamento) consiste nell’aumento dell’IVA, la tassa più anti-sociale esistente nel Paese, la quale a nostro avviso andrebbe invece abolita!

I comunisti potrebbero accettare un’ipotesi di RBI in questa fase storica unicamente come complemento alle attuali garanzie fornite dal welfare state, aspetto che tuttavia non è affatto assicurato dall’iniziativa e che necessiterebbe peraltro di tappe intermedie, anche perché il RBI potrebbe determinare fenomeni inflattivi e un ancoraggio negativo dei salari (dumping). L’unica possibilità accettabile – e tuttavia assolutamente remota nello stato presente delle cose – per finanziare il RBI sarebbe di introdurre la “Tassa dei milionari”, cioè un’imposta patrimoniale che colpisca i multi-milionari, oppure la Tobin Tax per tassare le transazioni finanziarie: spostare in pratica il carico fiscale dal lavoro verso il capitale.

Infine alla maggioranza del Partito Comunista è parso che fra i fautori del RBI vi sia una volontà di estraniarsi dalle “brutture” del sistema economico capitalista e dal lavoro salariato, creando l’illusione che questo significhi avvicinarsi al socialismo. Non è affatto così, poiché il capitalismo non lo si può bypassare con un RBI: occorre invece affrontarlo direttamente nella sua stessa logica, riappropriasi cioè collettivamente dei mezzi di produzione e non idealisticamente ritirarsi dalle contraddizioni dell’economia produttiva.

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