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Lo scorso 17 aprile il consigliere federale Ignazio Cassis, intervenendo al Telegiornale della RSI, ha ribadito una posizione preoccupante. In sostanza il ministro ha affermato che, essendo il debito pubblico della Confederazione aumentato di 60 miliardi di franchi a seguito delle misure relative all’emergenza sanitaria, i cittadini – e di certo non saranno i ceti più facoltosi, che da sempre il Partito Comunista chiama a contribuire in modo più solidale, ma sempre e solo i lavoratori già oggi tartassati – dovranno riportare questi soldi “nelle casse” per poter affrontare eventualmente una nuova crisi pandemica fra 30 anni.

Il riferimento è l’art. 126 della Costituzione federale, inserito nel 2001, che vincola in sostanza lo Stato al pareggio di bilancio. Dunque i soldi che oggi la Confederazione spende in deficit dovranno, nel giro di qualche anno, essere riportati nelle “casse dello Stato” dai lavoratori svizzeri. Nel contempo, imponendo un limite alla spesa pubblica il freno all’indebitamento finirebbe anche per arginare il necessario ruolo dello Stato nell’opera di ricostruzione economica e sociale del Paese. Per di più tutto ciò in una situazione di recessione mondiale che ci accompagnerà nei prossimi tempi come ammette lo stesso consigliere federale.

Il Partito Comunista ha già chiesto al governo federale e cantonale di allestire sin da ora un piano strategico di gestione della recessione, ridiscutendo gli attuali vincoli di bilancio federali e cantonali (in particolare la sospensione del «freno al disavanzo» previsto in Ticino). Questa crisi ci deve spingere ad abrogare il concetto di pareggio di bilancio tanto caro ai grandi monopoli interessati a diminuire la possibilità dell’ente pubblico di intervenire adeguatamente a tutela dell’economia nazionale.

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