La misura è colma. Non soltanto La Posta – azienda pubblica che qualcuno si ostina invece a gestire come se fosse un affare privato – smantella a piacimento la propria rete di uffici sul territorio, colpendo le regioni periferiche e insultando il mandato di servizio pubblico, ma ora licenzia 7 lavoratori, per di più cinquantenni (cioè difficilmente ricollocabili altrove) e lo fa con una scusa che suona tanto come una presa per i fondelli: la “colpa” sarebbe l’apertura di AlpTransit che riduce i camion e dunque i lavori di carico/scarico.
E così la Posta non solo si sbarazza di onesti lavoratori, rovinando la vita di intere famiglie, ma irride le (per una volta lungimiranti) scelte economiche (AlpTransit appunto) del parlamento e del popolo. La Posta in sostanza sembra voglia impedire al Paese di svilupparsi! Ma i grandi manager postali non sapevano forse che AlpTransit sarebbe arrivata? E la mirabolante strategia di riorganizzazione aziendale che questi strapagati individui riescono a produrre per affrontare tale presunta novità in cosa consiste? nel licenziamento di sette operai! La verità è un’altra e cioè che l’azienda della Confederazione ha deciso di esternalizzare sempre di più ad altre ditte (e naturalmente a condizioni di lavoro peggiori) tutta una seria di compiti per snellire il proprio organico.
Il Partito Comunista, nel solidarizzare con i lavoratori colpiti da tale misura, ricorda che tutti i partiti governativi hanno condiviso l’attuale politica di gestione delle ex-regie federali e solo i comunisti hanno difeso pochi mesi fa l’iniziativa “Pro Service Public”, che – alla faccia di certa sinistra – intendeva porre fine una volta per tutte al neoliberismo sfrenato in seno alle ex-regie federali: ancora una volta il tempo è stato galantuomo.
Il Partito Comunista chiede ora anzitutto che il Consiglio di Stato si muova a rispondere all’interrogazione 200.16 depositata dal deputato Massimiliano Ay il 7 dicembre scorso intitolata “La Posta smantella ancora il servizio pubblico – Atto secondo” e in secondo luogo che il governo intervenga politicamente presso i vertici aziendali in maniera convinta affinché queste sette persone siano reimpiegate nel gigante giallo, quell’azienda che un tempo rappresentava un orgoglio nazionale.