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L’iniziativa per la limitazione, vertendo sui rapporti tra la Svizzera-UE e sulle condizioni del mercato del lavoro, non poteva che sollevare un animato dibattito in seno al Partito Comunista. Consapevoli della delicatezza della questione, prima della discussione in Comitato Centrale abbiamo giudicato quindi importante svolgere anche un’apposita consultazione interna durata alcuni mesi. Nel complesso, la posizione si smarca da un lato dalla retorica xenofoba dell’UDC e, dall’altro, dalla postura fin troppo acritica che sembra avere assunto un’ampia parte della sinistra. Nell’ambito di una sintesi ponderante i diversi argomenti, sull’oggetto in votazione il Partito Comunista si dichiara in definitiva per la libertà di voto.

Come denunciamo da tempo, la libera circolazione delle persone (ALC) ha comportato una gravosa deregolamentazione del mercato del lavoro. Questa messa in concorrenza senza freni dei lavoratori si è tradotta, soprattutto nelle regioni di frontiera, in una generale corsa al ribasso dei salari. L’ALC alimenta inoltre una pressione deleteria sulle PMI locali, le quali si vedono confrontate con imprese che speculano anche sulla differenza del costo del lavoro nel Paese d’origine. A questo proposito, è sufficiente pensare alla problematica dei cosiddetti padroncini e dei lavoratori distaccati.

Nel contesto odierno, per arginare gli effetti nefasti della libera circolazione abbiamo comunque sempre rivendicato un deciso rafforzamento delle misure d’accompagnamento. Contro il fenomeno del dumping salariale, siamo dell’avviso occorrano ad esempio i seguenti provvedimenti: salario minimo di almeno 4’000 franchi; diffusione dei CCL con minimi salariali; aumento degli ispettori del lavoro; inasprimento delle sanzioni; istituzione di un Tribunale del lavoro; sospensione immediata dei lavori in caso d’irregolarità; registro delle condizioni di lavoro applicate dalle aziende; maggiore protezione contro i licenziamenti; limitazione del lavoro interinale; accesso libero dei sindacati sui luoghi di lavoro. Per cercare di tutelare invece il tessuto delle PMI, si rende necessario perseguire almeno il rispetto effettivo delle condizioni di lavoro vigenti in Svizzera, un inasprimento dei controlli, un aumento del termine di notifica e il deposito di un’adeguata cauzione per le aziende che distaccano lavoratori.

Le attuali misure d’accompagnamento si sono rivelate tuttavia inconsistenti, non riuscendo purtroppo a risolvere i problemi di fondo posti dalla libera circolazione. Del resto, siamo coscienti che la loro efficacia troverà sempre un limite nel regime di base instaurato dall’ALC. In questa prospettiva, appare insomma doveroso chinarsi sull’opportunità di rinunciare al principio dell’ammissione bilaterale degli stranieri, proprio al fine di arginare la liberalizzazione da esso prodotta. Senza con ciò pregiudicare un afflusso di manodopera estera, una gestione autonoma dell’immigrazione potrebbe concepire infatti condizioni più esigenti per l’assunzione di lavoratori, a partire da quelle salariali e da maggiori controlli.

Ciononostante, non possiamo ignorare come lo scenario prospettato dagli iniziativisti getterebbe le basi anche per degli statuti di lavoro precari e discriminatori. Con l’attuale Legge sugli stranieri infatti la brevità dei permessi viene sfruttata dal padronato per indebolire le condizioni del salariati, a cui viene parzialmente limitato il diritto alla mobilità professionale e al ricongiungimento familiare. Contrariamente alle tesi propugnate dall’UDC, in ogni caso dobbiamo pertanto ribadire la necessità di una riforma avanzata ed egualitaria del diritto del lavoro interno.

Per quanto concerne la possibile attivazione della “clausola ghigliottina”, contestiamo senza esitazioni il clima di allarmismo dilagante relativo alla caduta degli Accordi bilaterali I. Come da noi auspicato, evidenziamo anzitutto che, ad eccezione dell’ALC, gli stessi potranno sempre venire rinegoziati non soltanto con la stessa UE, ma se necessario anche con i singoli Stati in modo oltretutto più paritario. In ragione delle garanzie offerte da numerosi altri accordi alla Svizzera e della preminenza degli interessi dell’UE nel pacchetto, il rischio di una sua abrogazione andrebbe inoltre di molto relativizzato: basti ricordare che l’accesso al mercato europeo è garantito in realtà dall’ALS del 1972 e dagli accordi dell’OMC, come pure che l’UE esporta più prodotti agricoli in Svizzera che non viceversa. Non da ultimo, sono diversi gli accordi che troviamo profondamente contestabili, ma che soprattutto a sinistra non sono stati problematizzati a sufficienza: vedasi in particolare quello sugli appalti pubblici, che liberalizzando tale mercato provoca vistose situazioni di dumping e abuso.

Nel contempo, il dibattito sollevato dall’iniziativa dimostra ancora una volta l’importanza di svincolarsi dalla dipendenza dell’UE. Contro ogni retorica isolazionista, ribadiamo pertanto la necessità per la Svizzera di diversificare i propri partner commerciali, aprendosi nella fattispecie a una cooperazione strategica con i paesi emergenti. In tal senso, accogliamo ad esempio con favore l’accordo di scambio siglato con la Cina e la partecipazione del nostro paese all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB).

Considerata la natura strategica e controversa di alcune questioni sollevate dall’iniziativa, le quali, non essendo state ancora oggetto di una posizione consolidata al nostro interno, dovrebbero meritare una discussione maggiormente svincolata da una proposta predefinita e di più ampio respiro, per questo tema ci esprimiamo dunque per una libertà di voto nel quadro della posizione esposta. Con ciò non s’intende lasciare trasparire alcuna spaccatura, ma piuttosto la consapevolezza della complessità del problema e dell’esigenza di meglio sviscerare i diversi argomenti, in vista d’una sintesi più completa che dovrà essere prevista al nostro prossimo Congresso.

Di seguito presentiamo il documento politico completo approvato dal Comitato Centrale del Partito Comunista.

Documento_Iniziativa_UDC_Direzione_Definitivo_CS
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