1. In Svizzera l’uso del cosiddetto Certificato COVID (che attesta l’avvenuta vaccinazione o l’aver contratto la malattia) come discrimine per permettere o meno ai cittadini di usufruire di servizi e di accedere a spazi pubblici e privati era rimasto confinato – durante l’estate – sostanzialmente ai cosiddetti grandi eventi. L’esempio giunto però dalle vicine Francia, Italia e Germania ha tracciato una direzione nella quale è finito anche il nostro Paese, con il Consiglio Federale che dal 13 settembre 2021 ha introdotto una forte estensione del Certificato COVID a molti ambiti della vita sociale del paese. La decisione di impedire a chi non abbia questo strumento di frequentare bar e ristoranti, di fare attività sportiva nelle palestre o nelle piscine al chiuso, di usufruire degli spazi delle biblioteche, di entrare in un museo o di andare a teatro o al cinema è motivo di preoccupazione anche per la sinistra e i comunisti. In altri Stati europei si è già andati oltre e il “Green Pass” è oggi indispensabile anche per usufruire di determinati trasporti pubblici, per lavorare in specifici ambiti e addirittura per frequentare le lezioni all’università. Queste ultime due possibilità d’uso estensivo del Certificato COVID sono peraltro ora autorizzate anche in Svizzera, a libero discernimento dei datori di lavoro e/o delle scuole universitarie. Diverse università e scuole universitarie, soprattutto nella Svizzera romanda, hanno già deciso di implementare tale obbligo. Riteniamo che questo strumento sia sempre più caratterizzato da connotati politici che travalicano la mera questione sanitaria e che venga utilizzato come mezzo di ricatto, atto a forzare surrettiziamente un sempre maggior numero di persone a vaccinarsi benché non sussista un obbligo di legge approvato democraticamente. È tuttavia importante distinguere nell’analisi l’imposizione di un Certificato COVID dalla campagna vaccinale in sé.
2. Il Partito Comunista riconosce e ha sempre riconosciuto l’utilità della vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2 e relative varianti: fin dalla prima ondata nella primavera 2020 aveva chiesto al Consiglio federale di far uso della facoltà che gli è concessa dall’art. 32 della Legge sui brevetti procedendo all’esproprio del brevetto sui vaccini; inoltre prima dell’estate 2021 aveva firmato con altri partiti comunisti e operai del mondo un appello per l’abolizione dei cosiddetti diritti di proprietà intellettuale su tutti i vaccini COVID-19 e i protocolli di trattamento in uso o in fase di sviluppo, chiedendo pure che tutte le informazioni sui vaccini e sulle formulazioni dei trattamenti venissero presentate in modo trasparente alle organizzazioni scientifiche internazionali, uscendo dalla logica della concorrenza. In Ticino, i deputati in Gran Consiglio del Partito Comunista hanno anche rivolto un’interrogazione al Consiglio di Stato, con la quale chiedevano di valutare una vaccinazione di tipo mobile (poi implementata), che sarebbe potuta venire in contro alle necessità degli abitanti dei comuni maggiormente periferici del Cantone. Con un atto parlamentare poi, i nostri parlamentari hanno chiesto pure una maggiore disponibilità di vaccini, sia attraverso la produzione in loco sia con la diversificazione dei preparati, accogliendo ad esempio in Svizzera anche i prodotti a tecnologia tradizionale. Stiamo parlando dei vaccini con proteine di fabbricazione cubana (Soberana) e dei vaccini a virus inattivato di origine cinese, nonché quelli a vettore virale di produzione russa (Sputnik). In questo modo il dibattito restava di tipo scientifico e sanitario e si evitavano speculazioni di tipo (geo)politico. È assurdo infatti che cittadini svizzeri che si sono vaccinati con il preparato russo a San Marino o con quello cinese in Serbia si vedano oggi negare il Certificato COVID! Non deve quindi sfuggirci, da marxisti, che anche la somministrazione dei vaccini segue le leggi del profitto e la guerra commerciale che le potenze atlantiche impongono ai danni delle nazioni con allineate come Cina e Russia.
3. Il Partito Comunista prende altresì atto che né il governo svizzero né quelli stranieri hanno finora seriamente pensato di imporre questo trattamento sanitario per il tramite dell’obbligo di legge, se non per alcune specifiche categorie professionali. Un obbligo vaccinale – su cui il dibattito al nostro interno resta ancora aperto – perlomeno farebbe chiarezza sulla effettiva strategia sanitaria nazionale e porrebbe lo Stato – con i suoi vertici politici e amministrativi – di fronte alle proprie responsabilità (sia politiche sia sanitarie) qualora sorgessero effetti collaterali sul lungo periodo. La novità di un trattamento sanitario con tecnologia a RNA messaggero (mRNA) somministrato a larghi strati della popolazione e le autorizzazioni degli enti regolatori possibili solo in uso emergenziale inducono il governo svizzero (e con esso le multinazionali farmaceutiche private con cui si è accordato) a non compiere questo passo, evitando così future responsabilità mediche e politiche, scaricando di fatto sulle spalle dei singoli cittadini la scelta di sottoporsi o meno al vaccino, assumendosene quindi individualmente e volontariamente eventuali rischi. In questo contesto, e soprattutto di fronte all’atteggiamento contraddittorio delle autorità federali (che bollano come pericoloso o insicuro qualsiasi vaccino non occidentale), può diventare comprensibile che alcuni cittadini non intendano sottoporsi al trattamento, temendo effetti nocivi dovuti alla vaccinazione ed essendo sfiduciati da multinazionali farmaceutiche che siglano accordi poco trasparenti con governi borghesi che fino a ieri si sono disinteressati alla salute dei lavoratori e che hanno indebolito la sanità pubblica.
4. Il Partito Comunista, durante la prima ondata pandemica, ha in linea di massima difeso l’operato delle autorità federali e cantonali, seppure con diverse criticità in merito soprattutto alla genuflessione di fronte agli interessi padronali e del grande capitale. Nonostante ciò, occorre ora sottolineare che l’insistenza delle autorità nel voler porre la responsabilità sul singolo individuo è particolarmente riprovevole. Se infatti la crisi pandemica ha avuto e tutt’ora ha una tale virulenza nel nostro Paese è innanzitutto perché i partiti borghesi hanno promosso, nel corso degli ultimi decenni, degli ingenti tagli alla sanità pubblica e hanno smantellato qualsiasi forma di medicina di prossimità, due elementi che però sono di fondamentale importanza nella lotta contro una pandemia. Nonostante la prima ondata pandemica abbia messo in mostra tutti i limiti del nostro sistema sanitario, nulla è stato fatto per cercare di risolvere questi problemi. I posti letto in terapia intensiva permangono, soprattutto nei Cantoni d’Oltralpe, vergognosamente pochi ed il personale infermieristico continua a lavorare in condizioni salariali e di lavoro pietose. Colpevolizzare i singoli cittadini, quando la responsabilità di questa situazione è innanzitutto nelle mani dei partiti di maggioranza borghesi, è inaccettabile.
5. L’introduzione di uno strumento come il Certificato COVID, che ha la possibilità di regolare l’accesso alla vita sociale della collettività introducendo forme di discriminazione, è preoccupante nella misura in cui i cittadini non vaccinati di fatto non violano alcuna legge dello Stato. Ciò pone un problema anche sul piano costituzionale e democratico. A questo si somma il fatto che i criteri d’accesso ai servizi e alla vita sociale saranno in ogni momento estendibili e non vige alcun termine temporale. In Svizzera assistiamo inoltre a sempre più esempi di inammissibile politica aziendale, con settori del padronato che esigono la vaccinazione dei loro dipendenti senza che vi siano chiare indicazioni normative al riguardo da parte dell’ente pubblico. Le competenze mediche non possono essere in alcun modo privatizzate ponendole sotto il controllo padronale!
6. Il Certificato COVID, come il “Green Pass” europeo, era stato inizialmente implementato per facilitare la circolazione dei cittadini tra i paesi europei così da non essere assoggettabili a quarantene all’arrivo in altri Stati. Risultava insomma essere un documento di facilitazione per passare con precedenza a un controllo doganale. Trasporre questo nel diritto interno degli Stati e, sulla base di questo documento, concedere o meno il diritto ad accedere a prestazioni di carattere pubblico e privato è ben altra cosa, anche perché su questa base si stabiliscono di fatto nuovi diritti di cittadinanza con una logica che è quella del prendere o lasciare, alimentando tra l’altro un conflitto orizzontale tra cittadini, che divide la comunità e aliena i lavoratori e i ceti popolari dal conflitto sociale, il tutto a beneficio di chi da queste dinamiche ha sempre tratto giovamento: il grande capitale!
7. Il Partito Comunista non è in linea di principio contrario alla limitazione di specifiche libertà individuali nel caso sussista un preciso interesse pubblico nel farlo, come nel caso di una pandemia. Tali limitazioni devono però essere applicate unicamente qualora da esse scaturisca un chiaro e comprovato beneficio collettivo e devono altresì essere dettate da criteri di proporzionalità temporalmente limitati. Riguardo all’obbligatorietà del Certificato COVID per poter accedere a determinati spazi, questo comprovato beneficio è al momento dubbio, basti pensare all’incertezza della stessa comunità scientifica riguardo alla possibilità di infezioni ripetute e alla non completamente garantita efficacia dei vaccini nel contrastare la trasmissione. Visto il veto geopolitico in atto su alcuni prodotti e la poca trasparenza delle multinazionali produttrici, come comunisti rifiutiamo la demonizzazione dei non vaccinati come se fossero persone irrazionali, ignoranti e complottiste: vi sono infatti anche cittadini e lavoratori che esprimono dubbi legittimi a causa di un modello politico-economico capitalistico che ha sempre seguito interessi diversi da quelli della collettività anche in ambito sanitario. Per questo auspichiamo che i test rapidi e i tamponi restino gratuiti e che si diversifichino i vaccini. L’estensione dell’obbligatorietà del Certificato COVID in Svizzera, unito all’abolizione dei test gratuiti, consiste in uno pseudo-obbligo vaccinale, ma solo per le fasce meno abbienti della popolazione. Nelle attuali condizioni, vediamo con particolare criticità un’estensione del Certificato COVID, e a maggior ragione lo contestiamo se tocca diritti fondamentali come l’istruzione o se viene lasciata al padronato libertà di licenziamento dei lavoratori non vaccinati. Allo stesso momento, ribadiamo la necessità di investire massicciamente nella sanità pubblica e nella medicina di prossimità, elementi imprescindibili per il superamento di questa situazione.
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