Oggi la Svizzera è stata eletta nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Benché la Confederazione non faccia parte dei membri permanenti di tale organo, (gli unici a contare davvero qualcosa!) non c’è purtroppo molto da festeggiare: questa elezione da un punto di vista di classe – soprattutto nel contesto attuale, segnato dalla rinuncia di Berna a un ruolo di mediazione nella guerra in Ucraina – è da leggere in termini negativi. Negli ultimi tempi i buoni uffici svizzeri (e con essi anche la rispettabilità della Ginevra internazionale) hanno subito la concorrenza di Astana per il conflitto siriano e di Antalya per quello ucraino. Sia perché gli equilibri geopolitici sono cambiati spostandosi verso Oriente ma anche a causa di una progressiva mancanza di fiducia nella nostra sempre più “ammaccata” neutralità.
Le votazioni nel Consiglio di Sicurezza saranno laceranti a seguito del sempre più forte conflitto che vede contrapposto l’egemonismo atlantico da un lato e i paesi emergenti che aspirano al multipolarismo dall’altro. Realisticamente quindi, con questo governo (uno dei più confusi della storia) e con i rapporti di forza oggi presenti all’interno della borghesia del nostro Paese, temiamo che vi sia il rischio che l’adesione della Svizzera al Consiglio di sicurezza dell’ONU si traduca in un ulteriore asservimento agli interessi degli USA e della NATO (oltre che dell’UE), anche perché la corrente “patriottica” della borghesia svizzera si sta dimostrando disorganizzata e debole rispetto ai fautori del globalismo.
Il Partito Comunista ribadisce che la Svizzera – al di là di questi due anni nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU – deve ritrovare la sua neutralità e restituire competenze e mezzi alla sua diplomazia, diversificare i propri partner commerciali e militari, aprirsi di più ai paesi emergenti e fungere da ponte fra l’Occidente e l’Eurasia: l’alternativa a ciò è finire – stupidamente e contro i nostri stessi interessi nazionali – nel gorgo del declino politico ed economico del sistema atlantico.