Share this page to Telegram

1. Introduzione  «Liberi e Svizzeri!» era il motto dei volontari antifascisti che, nel 1936, partirono dal nostro Paese verso la Spagna per difendere la Repubblica e combattere il franchismo. Quel motto stava a indicare come il principio della neutralità andasse inteso quale sinonimo di sovranità nazionale rispetto alle pressioni che, a quell’epoca, arrivavano dai paesi vicini caduti nelle maglie del fascismo. Neutralità intesa, insomma, come volontà di garantire l’indipendenza politica del nostro Paese.

2. Il nostro Partito – È vero che il nostro Partito, al momento della sua fondazione nel 1944, si pronunciò per abbandonare la neutralità, ma tale proposta era esclusivamente vincolata all’immediata adesione della Confederazione nell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nell’ottica cioè di favorire una politica di pace globale. In quegli anni, e fino al termine della guerra fredda (più precisamente fino al 2002), una parte consistente della borghesia svizzera rifiutava in effetti l’adesione all’ONU adducendo proprio un presunto contrasto con la neutralità: in realtà il timore era quello dell’egemonia, perlomeno nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dei paesi socialisti e dalle ex-colonie che simpatizzavano per i comunisti. Già negli anni successivi, con l’intensificarsi della guerra fredda fra il blocco capitalista a Ovest e quello socialista ad Est, il nostro Partito adottò tutt’altra linea, riconoscendo che solo la neutralità garantiva al nostro Paese di non vincolarsi totalmente al campo atlantico. I comunisti svizzeri furono patrioti intransigenti: non solo ergendosi a difesa della neutralità in opposizione persino a Stalin, ma arrivando addiritura ad espellere dal Partito un dirigente carismatico quale era il compagno Léon Nicole, che perorava invece un avvicinamento all’allora “Patto di Varsavia”.

3. Le contraddizioni della neutralità – Siamo consapevoli che dietro alla parola «neutralità» la borghesia abbia coperto il collaborazionismo con il regime dell’Apartheid in Sudafrica e oggi con quello del sionismo in Israele. Sappiamo anche che, per tutta la durata della guerra fredda, la Confederazione, pur “tollerando” – ovviamente seguite a vista dalla Polizia federale – alcune relazioni commerciali non ufficialmente dichiarate fra aziende site nel Canton Ticino e l’allora DDR (sotto embargo americano!), era nei fatti schierata col campo atlantico. Prima ancora, all’epoca della guerra civile spagnola, il Consiglio federale, sempre nel nome della “neutralità” tollerava il sostegno attivo delle banche svizzere al regime franchista ma nel contempo incarcerava gli antifascisti svizzeri che lo combattevano. Non ci sfugge nemmeno che, in tempi più recenti, invitare i cittadini venezuelani a disertare le urne nel loro paese così da poterne delegittimare il governo abbia rappresentato un’ingerenza incompatibile con la neutralità. Applicare poi le sanzioni della Unione Europea (e non dell’ONU, di cui perlomeno saremmo parte) alla Russia per la guerra in Ucraina, senza peraltro aver mai nemmeno lontanamente condannato i massacri contro i civili nel Donbass da parte del militarismo golpista di Kiev dal 2014 in poi, era solo il preludio della decisione di quella parte di borghesia compradora (atlantista) di abolire la nostra stessa sovranità e vincolarci totalmente agli ordini degli USA e della UE.

4. Rilanciare la neutralità – Denunciare tuttavia questi episodi in cui la Svizzera ufficiale, di certo non quella pooplare e operaia, ha chinato il capo ai diktat di potenze straniere non significa che il principio della neutralità sia qualcosa di sbagliato e da rifiutare, occorre semmai pretenderne un’applicazione rigorosa che sia corretta non solo nei confronti del diritto internazionale ma che sia anzitutto favorevole agli interessi collettivi del popolo svizzero e della sua indipendenza nazionale. È naturale, nel contesto dell’imperialismo e di una società capitalista avanzata come quella svizzera, che la borghesia, in quanto classe attualmente dominante nella Confederazione, abbia prima concepito e poi applicato in maniera opportunistica il principio della neutralità, declinandolo ovviamente in base ai propri interessi di classe. Sta alle forze di opposizione come la nostra di trovare il modo con cui esercitare un’egemonia sul piano di massa affinché la popolazione aderisca a una visione della neutralità che sia compatibile con i principi della Conferenza di Bandung e del Movimento dei Paesi Non Allineati. Siamo convinti, insomma, che per il nostro Paese il principio della neutralità rappresenti non solo la migliore difesa dalle ingerenze esterne, ma sia un’opportunità che permette alla Confederazione di essere riconosciuta dalla comunità internazionale quale attore geopolitico credibile e rispettabile, fautore del dialogo tra le nazioni, ponte fra l’Occidente in declino e l’Eurasia in ascesa, nonché sede di importanti organizzazioni internazionali.

5. Neutrale è lo Stato, non i cittadini! – Il Partito Comunista distingue ovviamente tra le istituzioni statali e il popolo svizzero nella sua pluralità. Le prime si devono attenere scrupolosamente al principio di neutralità e al rispetto alle regole diplomatiche garantendo così i propri buoni uffici con tutti i paesi, ovviamente anche con quelli che non godono del sostegno di noi comunisti; il secondo invece, tramite i propri partiti politici e le altre organizzazioni che formano e favoriscono il dibattito democratico nella società, può e deve liberamente esprimere opinioni di parte e giudizi di valore assumendosene le responsabilità politiche.

6. Neutralità è sovranità! – Neutralità, nell’impostazione dei comunisti svizzeri, significa oggi avanzare verso una via sovrana di sviluppo del Paese. Essa è nel contempo rivoluzionaria (perché vuole superare sia i diktat economici liberisti impostici da accordi come il TTIP, sia i diktat neo-colonialisti come il “Miliardo di Coesione” dell’UE o la Partnership for Peace che ci vincola alle avventure belliciste della NATO), ma è anche nazional-popolare, poiché dà forza al senso di comunità e di unità popolare come antidoto all’individualismo consumistico dell’odierno capitalismo. Da un lato occorre superare la folcloristica narrazione autarchica di una certa destra patriottarda, ma dall’altro lato occorre inserirsi pienamente e convintamente in un sistema multilaterale di cooperazione win-win, atto a diversificare i parter commerciali, le fonti energetiche, i mercati di sbocco, ecc. del nostro Paese. Giova qui ricordare la storia della Finlandia durante la guerra fredda, quale esempio lampante dell’importanza della neutralità per i piccoli Stati. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale la Finlandia conobbe un lungo periodo di benessere in cui l’economia si sviluppò fortemente grazie agli intensi scambi commerciali con l’allora Unione Sovietica. Questi rapporti di buon vicinato erano favoriti dal fatto che i leader politici finlandesi avevano rinunciato ad aderire ad alleanze militari ostili all’URSS. La Finlandia non faceva parte del blocco socialista ed era guidata da un presidente conservatore, membro del Partito Agrario, che in passato aveva lottato armi alla mano contro i comunisti. Eppure, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i comunisti e i conservatori finlandesi trovarono il loro punto d’intesa proprio intorno al principio di neutralità. Rinunciare a immischiarsi nei conflitti tra superpotenze, diventando i vassalli di una di esse: questo è l’impegno che un piccolo Stato deve assumersi per salvaguardare la propria indipendenza politica. Era vero allora ed è vero anche oggi: nel nascente mondo multipolare, insomma, solo una Svizzera non allineata potrà fungere da ponte fra l’Eurasia in ascesa e l’Occidente in inesorabile declino. L’alternativa a ciò è, purtroppo, la guerra come conseguenza delle necessità di illusoria sopravvivenza dell’imperialismo atlantico.

7. Quale neutralità armata? – Se è importante chiarire che i comunisti rifiutano la corsa al riarmo e l’esportazione di armi, ancora più impellente risulta oggi ribadire il nostro rifiuto categorico all’adesione della Svizzera sia alla NATO sia alla PESCO (Cooperazione strutturata permanente in materia di difesa e sicurezza dell’UE). Occorre tuttavia, compatibilmente alle risoluzioni del 24° Congresso del nostro Partito, arricchire ulteriormente la nostra linea politica in ambito militare. Per quanto il nostro Partito nel 1989 e nel 2001 abbia sostenuto (invano) le iniziative per abolire l’esercito, fintanto che le forze armate svizzere godranno di ampio sostegno popolare, riteniamo che la nostra priorità debba orientarsi a frenarne la pervasività e a rivendicare una loro scrupolosa adesione al principio di neutralità. Ciò significa rivedere, in funzione della sola garanzia dell’indipendenza nazionale, la dottrina militare elvetica epurandola di ogni influenza atlantista: rifiutiamo quindi anzitutto ogni esternalizzazione della formazione dei quadri dell’esercito alle accademie estere. In secondo luogo prendiamo atto che il nostro Paese è praticamente circondato dalla NATO: per quanto inverosimile, dunque, l’unica ipotetica minaccia di invasione arriva proprio da quest’ultima. Di fronte a tale evidenza è assurdo investire in aerei da caccia e sistemi d’arma che vincolano l’esercito svizzero in modo esclusivo alla sola tecnologia atlantica.

8. Unità popolare per la neutralità I comunisti svizzeri, quindi, nel contesto della transizione dall’unipolarismo al multipolarismo, consapevoli del fatto che la neutralità è oggi messa in pericolo dai settori più ferocemente atlantisti del grande capitale, devono saper cogliere la contraddizione primaria per il Paese e impegnarsi (tatticamente e nel rispetto delle diverse identità politico-ideologiche) con chiunque – anche se borghese, di destra o addirittura “militarista” – sia oggi disponibile ad ancorare nella Costituzione federale il principio della neutralità quale elemento fondante e perenne della politica estera svizzera, che preveda i seguenti due principi: a) la rinuncia ad aderire a qualsivoglia alleanza militare e a prendere parte a conflitti fra Stati terzi e b) la rinuncia ad imporre sanzioni a paesi belligeranti. Non si tratta di una rinuncia alla nostra tradizionale impostazione anti-militarista, bensì la consapevolezza del fatto che essa può esplicarsi al meglio solo nel contesto di un paese che sia realmente neutrale e non allineato.


risoluzione_neutralità_pubblicata

DOWNLOAD PDF

CONDIVIDI