No UE – No NATO: il nostro programma completo

Le priorità del Partito Comunista per le elezioni federali 2023 (e oltre...)

993
Share this page to Telegram

SOVRANITÀ: NO ALL’UNIONE EUROPEA

Sovranità è una parola di buon senso: significa disporre democraticamente delle sorti della propria comunità. La sovranità si raggiunge non con un’illusoria chiusura autarchica, ma con la diversificazione dei propri partner commerciali, svincolandosi dall’attuale dipendenza dal campo euro-atlantico. L’Unione Europea è un ente irriformabile che compie ingerenze negli affari interni agli Stati nazionali imponendo loro misure di austerità, soffiando sul fuoco della guerra al servizio della NATO e che oggi, con le sanzioni (a cui il Consiglio federale ha aderito in modo autolesionista), sta impoverendo i lavoratori dell’intero continente. Non solo riteniamo che la Confederazione non debba più pagare il “miliardo di coesione” ma rivendichiamo la rinegoziazione degli accordi bilaterali e rifiutiamo categoricamente l’adesione – diretta o strisciante, attuale o futura – della Svizzera all’UE. Anche la sottoscrizione di un accordo quadro con Bruxelles, che ci farebbe recepire passivamente le sue leggi, è da contrastare. La libera circolazione delle persone ha finora comportato non solo la deregolamentazione del mondo del lavoro, intensificando una “guerra fra poveri” che ha aumentato lo sfruttamento dei salariati, ma ha anche alimentato – tramite il fenomeno dei “padroncini” e dei lavoratori distaccati – una concorrenza deleteria per le stesse PMI locali. L’avvicinamento del nostro Paese all’UE ha anche legittimato la privatizzazione dei servizi pubblici a seguito della liberalizzazione dei mercati.

NEUTRALITÀ: NO ALLA NATO

Da oltre un anno la guerra è purtroppo tornata in Europa: il nostro compito è anzitutto quello di non farci coinvolgere e sostenere la de-escalation del conflitto. L’orizzonte a cui aspiriamo presuppone infatti l’impegno della Svizzera a favore di un mondo multipolare, improntato sulla pace e la mutua cooperazione fra le nazioni. Offrire i nostri buoni uffici diplomatici per porre fine alla folle corsa al riarmo a cui stiamo assistendo sarà possibile solo se sapremo correggere gli errori commessi dall’establishment di Berna: occorre insomma attenersi a una politica di “non allineamento” e riconoscere nella neutralità l’elemento fondante della politica estera e di difesa del nostro Paese. Siamo consapevoli che i problemi derivano dall’espansionismo della NATO e dalla progressiva integrazione atlantista persino di militari svizzeri: si tratta della strategia con cui gli USA vincolano a sé il mercato europeo evitando che esso si apra al florido spazio economico eurasiatico a guida russa e cinese. In questo contesto, rivendichiamo quindi anche che le forze armate si attengano scrupolosamente al principio di neutralità e indipendenza: non esternalizzare agli americani i corsi di addestramento degli ufficiali, superare i vincoli tecnologici esteri diversificando i sistemi d’arma in dotazione alle truppe e rimpatriare subito i nostri soldati impiegati in Kosovo agli ordini di potenze straniere. Anche le università svizzere dovrebbero cessare immediatamente la collaborazione con il centro di cyberdifesa cooperativa della NATO e altre simili istituzioni che di accademico non hanno nulla, ma che al contrario inseriscono il nostro Paese e i suoi ricercatori in una dinamica bellicista. Restiamo coerenti con il motto “Liberi e Svizzeri” dei primi anti-fascisti ticinesi: rifiutiamo il clima di ostilità con le nazioni emergenti e non accettiamo nel modo più assoluto l’esportazione (anche indiretta) di materiale bellico.

LAVORO: NO A SALARI DA FAME

Difendere la nostra sovranità permette di attuare riforme in ambito sociale dando fiato sia ai lavoratori impoveriti, sia agli artigiani e ai piccoli imprenditori strangolati dalla concorrenza del grande capitale transnazionale. Recuperare la nostra neutralità permette invece alla Svizzera di aprirsi ai mercati emergenti, cogliendo le potenzialità anche economiche che il multipolarismo comporta. Vanno per questo vietate le delocalizzazioni di aziende ad alto valore aggiunto strategiche nell’interesse nazionale e occorre frenare la fuga di cervelli investendo nel diritto allo studio. Il mercato svizzero, che oggi è in parte inquinato sia da un padronato (spesso d’importazione) privo di sensibilità sociale, sia da infiltrazioni mafiose contro cui la Magistratura ha troppi pochi mezzi per intervenire, può svilupparsi mettendo al centro due elementi: la ricerca pubblica, così da innovare l’industria produttiva; e il lavoro, con l’obiettivo di raggiungere uno sviluppo armonioso della società. Occorre urgentemente bloccare il rincaro e difendere il potere d’acquisto dei lavoratori con un massiccio intervento dello Stato: solo una razionale programmazione economica permetterà infatti al Paese di crescere ma anche di ridistribuire la ricchezza in modo equo. Ecco perché rivendichiamo un nuovo codice del lavoro che tuteli i diritti sindacali e collettivi, affinché i salariati – che sono la maggioranza dei cittadini – abbiano voce in capitolo in una gestione socio-economica più democratica del Paese. Occorre quindi la diffusione dei Contratti collettivi di lavoro che impongano un salario minimo vincolante generalizzato, che impedisca il dumping e la concorrenza fra lavoratori, e che dunque si attesti almeno sui Fr. 4’000 mensili per tutti e sui Fr. 1’000.- mensili per gli apprendisti, da adeguare automaticamente ogni anno al rincaro. Va inoltre messa in campo una strategia nazionale per fronteggiare sia gli abusi connessi allo svolgimento del telelavoro, sia le nuove forme di precariato, soprattutto giovanile, vietando ad esempio le agenzie di lavoro interinale. Rivendichiamo infine sia un blocco tariffale sul prezzo dell’energia sia una revisione del metodo di calcolo dell’Indice nazionale dei prezzi al consumo sulla cui base vengono adeguati salari e prestazioni sociali, integrandovi ad esempio i premi di cassa malati.

SERVIZIO PUBBLICO: NO ALLE PRIVATIZZAZIONI

Per garantire la sovranità nazionale e il progresso sociale, serve finalmente più Stato e meno mercato. Diciamo basta alle privatizzazioni e alle liberalizzazioni, rimettendo al centro delle priorità la nazionalizzazione dei settori strategici e il rilancio di un intervento pubblico programmatore. Contrariamente all’accordo quadro con l’UE che intendeva limitare gli aiuti di Stato, richiediamo perciò l’acquisizione di partecipazioni statali nelle imprese che assumono un’importanza strategica per il Paese. Il primato della politica va tuttavia esteso anche alla Banca Nazionale Svizzera (BNS), che di concerto con le banche cantonali dev’essere posta al servizio dell’economia produttiva e dell’occupazione. In questo contesto, al fine di svincolare la ricerca e la formazione dalle logiche del profitto, anche in tali ambiti s’impone un maggiore finanziamento pubblico e coordinamento da parte dello Stato. È in quest’ottica che ci battiamo per un servizio pubblico forte e democratico, che si contrapponga agli sciagurati piani di aziendalizzazione e di esternalizzazione promossi negli ultimi anni. Rivendichiamo pertanto, con decisione e urgenza, la restaurazione delle ex-regie federali: Posta, telecomunicazioni, trasporti pubblici e compagnia di bandiera tornino sotto il pieno controllo della Confederazione e a rispondere di un reale mandato pubblico! Nel contempo occorre che la strategia energetica della Svizzera metta in primo piano il ruolo delle aziende elettriche pubbliche, quali veicolo per assicurare anche l’autoapprovvigionamento energetico e l’accessibilità delle tariffe. È giunto invece il momento di sottrarre il sistema sanitario dai meccanismi del mercato, affermando la preminenza della sanità pubblica nella pianificazione ospedaliera e creando una cassa malati unica, pubblica e con i premi in base al reddito e alla sostanza. Quanto alla previdenza sociale, urge ormai un rafforzamento dell’AVS rispetto al secondo pilastro: senza cedere sull’aumento dell’età pensionabile, le prestazioni assicurative vanno incrementate e se necessario adeguate al rincaro.

TERRITORIO: NO ALLE MODE “GREEN”

I comunisti per primi hanno evidenziato i legami che intercorrono fra il modo di produzione capitalistico orientato alla massimizzazione dei profitti e i gravi problemi di inquinamento e di perdita di biodiversità. Solo unendo però la questione ecologica a quella sociale si riuscirà a costruire una società in cui l’essere umano sia in armonia con la natura: la pur necessaria transizione ecologica, quindi, non deve essere fatta pagare ai lavoratori e ai ceti popolari. Non deve sfuggirci che il 70% della produzione di CO2 proviene dalle multinazionali che la classe dirigente si guarda bene dall’infastidire: la stessa Legge federale sul clima appena approvata continua a legittimare lo scambio speculativo delle quote di emissioni che deresponsabilizza le grandi aziende inquinanti. Noi rivendichiamo misure obbligatorie sulla piazza finanziaria che investe in fonti sporche, ma anche incentivi per l’utilizzo del trasporto pubblico, le cui tariffe stanno vergognosamente aumentando piuttosto che venir calmierate o rese gratuite per alcune fasce d’utenza. La dismissione delle energie fossili non deve tuttavia vincolare il nostro approvvigionamento energetico al blocco euro-atlantico (che sta sviluppando nuovi impianti nucleari o a carbone per supplire alle risorse non più acquistate ad esempio dalla Russia): ci vuole quindi un piano industriale pubblico per incrementare la produzione elettrica nazionale e diversificare l’approvvigionamento al fine di evitare ogni penuria energetica che verrebbe strumentalizzata dall’establishment per spingere ad acquistare elettricità dall’UE liberalizzando il nostro mercato energetico. Infine la lettura modaiola e moralista dei fenomeni ambientali promossa da ONG estere non ci riguarda: esse non solo minano l’autoapprovvigionamento energetico e alimentare, ma il loro approccio catastrofista e divisivo impedisce di unire, come invece sarebbe determinante, l’esperienza di chi lavora la terra con la sensibilità ambientale dei cittadini: solo tale alleanza consentirebbe di concretizzare obiettivi condivisi verso una maggiore sostenibilità. La priorità è ora estendere oltre il Canton Ticino il principio costituzionale della sovranità alimentare promuovendo le filiere corte, arrestando la perdita di terre coltive, sostenendo contadini e allevatori di montagna anche sopprimendo i grandi predatori.

SCARICA L’OPUSCOLO IN PDF

opuscolo
CONDIVIDI