Negli ultimi due mesi, sono stati pubblicati dal Consiglio Federale due importanti documenti che avrebbero meritato ben altro dibattito rispetto alle poche righe – copia-incolla di comunicati stampa – riservate dai media. Si tratta della documentazione relativa il nuovo mandato negoziale con l’UE il primo e del “rapporto concernente la capacità di difesa e cooperazione internazionale dell’esercito” (cioè dei rapporti con la NATO) il secondo.
Leggendoli, si può facilmente riscontrare la “lungimirante” strategia di politica estera portata avanti dal Consiglio Federale: trasformarci lentamente in una colonia dell’UE (per poi aderirvi in un secondo momento) e renderci di fatto una succursale della NATO. Andiamo con ordine.
Il nuovo mandato negoziale con l’UE per un accordo quadro 2.0 è pressoché identico alla prima versione, affossata, seppure in ritardo, dal CF stesso nel 2021. L’unica differenza, cioè “l’approccio a pacchetti” tanto sbandierato, sembra un contentino per convincere la popolazione che il Consiglio Federale abbia improvvisamente riscoperto la sua volontà di trattare da pari. La ripresa dinamica del diritto europeo, tolti i fumogeni di retorica, rimane e di conseguenza tutte le garanzie che il Consiglio Federale sembra stia cercando di ottenere negli ambiti della protezione dei salari, contro i rischi di privatizzazione dei servizi pubblici, nella questione spinosa del divieto di aiuti di Stato ecc. servirebbero poco a nulla e si sgretolerebbero contro la facoltà unilaterale dell’UE di trascinare la Svizzera di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale possiamo facilmente immaginare a favore di chi sentenzierà. Una volta presa una decisione in merito alla controversia, al nostro Paese resterebbe la facoltà di decidere se chinarsi ai diktat dell’UE e accettare la nuova normativa, anche se contraria al volere politico o a un verdetto popolare, oppure subire ritorsioni di varia natura (sanzioni, esclusione da determinati programmi come già assistito in passato, …). Vista la totale incapacità dimostrata negli ultimi anni di elaborare una politica autonoma e indipendente, è facile prevedere dove cadrà la scelta.
Ma è altrettanto preoccupante il secondo documento, che in 34 pagine vorrebbe spiegare “in che modo è possibile […] ottenere una cooperazione approfondita e istituzionalizzata con la NATO salvaguardando la neutralità”. Si parla di sempre maggiore integrazione fra l’esercito svizzero e l’Alleanza (cioè legarci alla formazione, ai sistemi d’arma e alle tecnologie della stessa, rendendoci quindi succubi politicamente), di un allentamento dei criteri per permettere il passaggio di truppe NATO sul nostro suolo (a quando l’insediamento di vere e proprie basi americane?) e di una revisione delle normative per permettere ai nostri soldati di andare a formarsi presso piazze d’armi di terzi (il che significa impiegarli in futuro in missioni perlomeno di supporto a quelle NATO, peggio di quanto avviene già oggi con la KFOR). Appare evidente come tutto questo non sia possibile mantenendo al contempo la nostra neutralità, peraltro già oggi messa in discussione da molti paesi a seguito della decisione boomerang di aderire alle sanzioni UE contro la Russia, invece di mettere a disposizione i nostri buoni uffici.
Fermare queste derive è però ancora possibile, ancorando la neutralità alla Costituzione come chiede l’ “iniziativa sulla neutralità”, che invito fortemente a sottoscrivere, per ribadire un chiaro NO UE e NO NATO.
Anche la sinistra firmi l’iniziativa per la neutralità permanente!