Il Partito Comunista fu sempre in controtendenza a sinistra sui temi relativi alla Posta. Se nel 1997 i comunisti furono gli unici a tentare la via referendaria contro la privatizzazione delle PTT (processo peraltro guidato da esponenti socialisti), ancora pochi mesi fa ci eravamo espressi a favore dell’iniziativa a favore del servizio pubblico che avrebbe costretto la Posta a cambiare la propria strategia aziendale dando priorità al servizio pubblico appunto e non alla corsa al massimo profitto. Dopo essere stata bocciata dalla maggioranza dei sindacati e dei partiti di sinistra e di destra, essa venne purtroppo respinta anche in votazione popolare.
Come volevasi dimostrare i dirigenti della Posta non hanno perso tempo, annunciando la chiusura della metà degli uffici postali sopravvissuti alle varie ondate di tagli iniziate una quindicina di anni fa. Vale la pena ricordare che nel 2001 il popolo svizzero poteva contare su 3’500 uffici postali distribuiti sul territorio nazionale, oggi ne restano 1’500 che ora saranno ridotti a soli 800. Secondo il Sindacato Autonomo dei Postini (SAP) già oggi circa 800mila abitanti del nostro Paese non dispongono più di un ufficio postale entro i limiti ragionevoli di distanza.
La giustificazione dei vertici aziendali, secondo cui si tratterebbe di reagire rispetto al calo dei volumi sono scorrette, poiché come dice l’altro sindacato di categoria, il Syndicom, non tengono in considerazione che con i tagli massicci degli ultimi anni già oggi molte prestazioni sono fornite da partner esterni o sono state trasferiti ad altri reparti del gruppo. Grave poi che la Posta agisca sempre quasi fosse una realtà privata e non un’azienda pubblica che dovrebbe dunque coinvolgere la comunità nella pianificazione dell’orientamento aziendale: dai lavoratori agli enti locali.
Accanto ai cittadini che si vedono peggiorare il servizio, vi sono poi le problematiche sindacali: saranno infatti 1’200 i lavoratori colpiti da questa misura e la Posta, che registra ogni anno milioni di utili, non esclude dei licenziamenti. Il Partito Comunista chiede – almeno – che i dipendenti coinvolti da questa situazione siano ricollocati all’interno dell’azienda!
Il Partito Comunista condanna l’intera strategia aziendale chiaramente volta allo smantellamento del servizio pubblico: la Posta non sta facendo gli interessi dei cittadini e del Paese e l’autorità federale, che dovrebbe intervenire con forza per riprendere il controllo di questo settore strategico dell’economia nazionale, non muoverà un dito anche perché impegnata a negoziare con l’UE ulteriori forme di liberalizzazione del nostro servizio pubblico (leggi: accordi TISA).
Finché i rapporti di forza partitici in parlamento non cambieranno non possiamo farci illusioni. L’unica chance resta allora che accanto alla mobilitazione sindacale dei lavoratori, che siano quei Cantoni che si oppongono al suicidio del servizio pubblico a reagire assieme alle forze sindacali. In tal senso si muoverà una interrogazione del deputato comunista Massimiliano Ay.