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Dopo 13 anni di strenua resistenza alle ingerenze militari e alle pesanti sanzioni economiche dell’imperialismo atlantico e sionista, il governo della Repubblica Araba Siriana ha dovuto cedere: il presidente Bashar al-Assad ha saputo evitare inutili bagni di sangue dando responsabilmente disposizione per una transizione di potere la meno violenta possibile di fronte alle soverchianti forze di opposizione.

La conquista di Damasco da parte del gruppo terroristico islamista Hayat Tahir al-Sham (HTS) significa anche la fine dell’esperienza di uno Stato multiconfessionale e multietnico retto da un governo laico ad orientamento socialista con il concorso di diverse forze politiche secolari e progressiste (fra cui anche comunisti e sindacalisti) che ha rappresentato per decenni un alleato chiave dei popoli nella resistenza contro l’imperialismo, a partire da quello palestinese fino a quello venezuelano.

La decennale ingerenza negli affari interni della Siria da parte di vari paesi occidentali è stata purtroppo decisiva per destabilizzare il Paese in modo irreversibile: oltre ai continui bombardamenti di Israele, infatti, anche l’embargo commerciale imposto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea ha avuto conseguenze devastanti sull’economia siriana, con un pesante logoramento delle condizioni di vita quotidiana per i cittadini e i lavoratori.

Il Partito Comunista Siriano, ancora poche settimana fa, aveva lanciato l’allarme, rimanendo purtroppo inascoltato: nonostante tutto il patriottismo possibile, la difficoltà a mantenere la coesione sociale stava compromettendo le capacità di resistenza della nazione. Purtroppo così è stato.

Chi oggi festeggia parlando di caduta di un “tiranno”, dovrebbe piuttosto riflettere su quello che ci sarà ora: nella speranza che non si verifichi uno scenario come quello avuto in Libia dopo l’intervento bellico di UE e USA. Risulta quantomeno frettolosa quindi la decisione della Svizzera di sospendere proprio adesso la concessione dell’asilo per i cittadini siriani: la guerra non è ancora finita, l’instabilità regna sovrana e le nuove autorità dipendono pur sempre da un’organizzazione integralista. La garanzia di un’amnistia per tutti i militari che hanno servito nell’Esercito regolare è certamente una notizia positiva, ma non basta: va anzitutto verificata all’atto pratico!

Al fine di evitare un conflitto globale che potrà coinvolgere molti altri paesi dell’area mediorientale, determinando anche ingenti flussi migratori verso l’Europa e la Svizzera, resta oggi imperativo lavorare per preservare l’integrità territoriale della Siria ed evitare una definitiva balcanizzazione sia etnica sia religiosa del Paese. In questo senso si dimostra corretta anche la critica decennale del nostro Partito a quella parte di sinistra europea che ha difeso ad oltranza (e in modo esclusivamente ideologico) il separatismo curdo nel Rojava, il cui ruolo di agente sul campo di Washington appare oggi evidentissimo e senza più scusanti.

Di fronte all’ormai fragilità strutturale del “Baathismo”, è presumibile che l’essenza dell’intesa trovata tra i paesi alleati (Iran e Russia) da un lato e la Turchia e le forze di opposizione siriane dall’altra sia proprio quella di provare a salvaguardare un’unità nazionale siriana (già fortemente compromessa) e ottenendo una garanzia per le basi militari russe presenti nel tentativo di ostacolare il pericoloso espansionismo sia del regime sionista sia degli USA. La situazione resta evidentemente tutta in divenire e i rapporti di forza ancora instabili: le prospettive però non sono già segnate!

Dalla conclusione dell’esperienza siriana si evincono insegnamenti per tutti i popoli che si vogliono emancipare dall’imperialismo: occorre anzitutto difendere lo Stato nazionale, senza cedere alle spinte autonomistiche, senza mai fidarsi delle lusinghe dell’imperialismo atlantico e dei suoi strumenti (come il Fondo Monetario Internazionale), promuovendo al contrario le istituzioni repubblicane come elemento comunitario e operando per raggiungere il più alto grado di indipendenza e sovranità possibile. In questa fase dello scontro geopolitico e di classe in corso a livello globale, la Siria rappresentava purtroppo l’anello più debole della catena, e l’imperialismo atlantico ha colto l’occasione: ciò non toglie che il processo verso il multipolarismo sia storicamente ed economicamente dato, così come il declino occidentale.

Una considerazione va fatta anche ai militanti anti-imperialisti oggi delusi: è un sentimento umanamente e politicamente comprensibile, ma una guerra si compone sempre di tante battaglie, e non tutte possono risultare vittoriose allo stesso modo. La delusione non consente però atteggiamenti né disfattisti né liquidatori come se ne stanno registrando troppi in questi giorni, al contrario è il tempo di riorganizzarsi, di ricalibrare l’analisi alla nuova fase, di non cedere alla guerra psicologica in atto e di rafforzare il nostro impegno militante organizzato, perche la NATO e l’Entità sionista stanno ancora spingendo per far scoppiare una terza guerra mondiale. Nostra priorità di comunisti deve restare la difesa della neutralità svizzera e della pace, il consolidamento del multipolarismo e la solidarietà alle rivoluzioni anti-coloniali, a partire da quella palestinese, che non sono certo finite con la caduta della Siria.

Leggiamo commenti di “compagni” (non del nostro Partito) che fino a ieri sostenevano Assad, insultarlo ora come un “traditore” e un “vigliacco”. Altri che fino a ieri si sperticavano in lodi per la Siria, ora si riducono a insultare i suoi cittadini che non si sarebbero martitizzati per la causa baathista come fossero un popolo di incorreggibili “corrotti” e “opportunisti”. Questi “compagni” si sono smascherati: non solo non hanno interiorizzato le regole del materialismo storico e dialettico, ma con tali sprezzanti commenti saccenti e razzisti dimostrano solo che, per anni, hanno confuso la militanza politica seria con una tifoseria da stadio, riducendo l’internazionalismo e l’anti-imperialismo a mero folklore identitario.

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