Il Partito Comunista è stata una delle prime forze politiche, oltre due anni fa, a denunciare la rottura del Contratto Collettivo di Lavoro nel settore della cave di granito. L’Associazione Industrie dei Graniti, Marmi e Pietre Naturali aveva infatti informato unilateralmente i sindacati di tale decisione il 29 novembre 2011, divenuta poi realtà nel 2012.
Il Partito Comunista, condannando l’attitudine socialmente irresponsabile delle industrie del settore, chiedeva con una dichiarazione pubblica del dicembre 2011, quale misura urgente e di corto periodo, che lo Stato prendesse posizione obbligando in ogni settore professionale una contrattazione collettiva con clausola vincolante di obbligatorietà generale. Cosa che naturalmente non ha avuto luogo. Successivamente rivendicavamo che le norme di legge, attualmente favorevoli solo al padronato, venissero aggiornate secondo gli standard del CCL più favorevole agli operai. Anche questa proposta si è scontrata contro un muro di silenzio da parte delle autorità.
Dopo circa due anni, il 16 giugno scorso, i sindacati decidono di dichiarare lo sciopero. Le modalità con cui questa mobilitazione è stata preparata strategicamente meriterebbe un approfondimento (anche autocritico) a sinistra e nel movimento sindacale, poiché ha denotato un serio problema per quanto concerne progettualità e rapporti di forza. Non a caso abbiamo avuto una reazione padronale che aveva tutta l’aria di una preoccupante prova di potere, con tanto di agenti di sicurezza privati, misure intimidatorie, nonché addirittura delle serrate e il licenziamento degli scioperanti più in vista.
Che la democrazia si fermi all’entrata delle cave è ormai noto, che il diritto di sciopero sia iscritto nella Costituzione federale ma che spesso risulti solo una parola al vento anche, così come che il Consiglio di Stato finora abbia guardato dall’altra parte. Gli equilibri politici sono chiari a tutti: credere nelle favole non aiuta il movimento operaio, siamo infatti di fronte a una rinnovata lotta di classe che viene condotta dall’alto verso il basso, a dire il vero con ben poca capacità di reazione da sinistra. Occorre evidentemente reagire e non bastano degli slogan “anti-capitalisti”: qui ne va della credibilità stessa del sindacalismo ticinese!
Il Partito Comunista condanna con forza in particolare la decisione della ditta Maurino Graniti SA di disdire il rapporto di lavoro a tre operai che hanno esercitato il loro diritto di scioperare e di rivendicare dei salari e un CCL dignitoso. Se a Bellinzona ci fosse un governo perlomeno onesto, a questo punto tutti i mandati pubblici assegnati a tale azienda andrebbero revocati, così come andrebbe esclusa da ogni futura commessa, almeno fino al reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati. I comunisti esprimono la propria solidarietà nei confronti delle tre famiglie coinvolte e invitiamo alla più ampia unità sindacale e politica per ristabilire la legalità nel settore delle cave.
Petizione-Maurino-PC